L’adattamento: arte e tecnica in
un solo mestiere.
Vi siete mai chiesti quanto
lavoro ci sia dietro un film o documentario tradotto? Diversamente da altri
Paesi, come ad esempio la Svizzera o i Paesi scandinavi, in cui gli spettatori
vedono i film stranieri nella lingua originale, o al più sottotitolati, in
Italia c’è una lunga tradizione di doppiaggio. Ed ecco allora che un
particolare rilievo viene assunto dalla figura del traduttore adattatore o
dialoghista, cioè colui che ricrea interi copioni nella nostra bella lingua.
Spesso bistrattato o nel migliore dei casi semplicemente invisibile agli occhi
dei più, col suo lavoro permette la diffusione di capolavori cinematografici o
di serie tv che entrano nel nostro quotidiano modificando i nostri gusti e i
modi di pensare (pensiamo ai celeberrimo “E.R.” o ai più recenti “N.C.I.S” e “Grey’s
anatomy”) e lanciando veri e propri fenomeni di massa. Una sorta di artista,
quindi, ma con delle regole precise da rispettare. Prima tra tutte tenere ben
presente lo scopo comunicativo del suo lavoro e riuscire a conciliarlo col
proprio estro creativo. Infatti il traduttore, adattatore nel nostro caso, da
lettore privilegiato riesce ad analizzare il testo di partenza, godendo delle
sue molteplici sfumature di significato, dei rimandi extra-testuali, della sua
trama fonica, insomma della piena bellezza che lo caratterizza nella lingua
originale; ma poi dovrà “trasportare” tutto questo materiale in un nuovo testo
e in un contesto socioculturale differente. Nel migliore dei casi ci si può
imbattere in film o serie televisive che utilizzano una terminologia tecnica,
da addetti ai lavori (sulla quale per lo meno, con l’aiuto di un buon glossario
e dizionari tematici non si può sbagliare), ma molto più spesso è necessario
ricreare il testo, come nel caso in cui si faccia riferimento a un personaggio
o a una situazione noti nella cultura della lingua d’origine ma sconosciuti in
quella d’arrivo. Oppure ci si può imbattere in espressioni gergali, varietà
linguistiche e accenti regionali o modi
di dire. Un caso tipico di rimodulazione del testo si ha in presenza del
turpiloquio, generalmente diffuso in alcune lingue, soprattutto in contesti
colloquiali e familiari (pensiamo alla cultura spagnola) e che in Italia di
solito viene attenuato. Insomma è necessario destreggiarsi tra la fedeltà
all’originale e la sensibilità del pubblico della lingua d’arrivo. Spesso
l’interesse filologico per il testo di partenza viene minimizzato affinché prevalga
la funzione comunicativa e il prodotto finale, cioè i dialoghi, non sembrino
forzatamente tradotti, ma siano il più comprensibile possibile per il fruitore.
In secondo luogo bisogna fare i conti con un aspetto più tecnico, ma ugualmente
rilevante: adattare vuol dire sincronizzare i dialoghi al labiale dell’attore
che compare sullo schermo. Non dimentichiamo che il testo di un copione va
recitato ed è fatto anche di pause che vanno adeguatamente segnalate allo “speaker”.
Per questo capita di dover smembrare e ricomporre una traduzione già pronta,
per cucirla addosso al filmato. Ma non finisce qui, perché spesso il testo,
dopo una completa revisione a carico del traduttore, può essere ulteriormente
modificato dai doppiatori in sede di registrazione. Insomma un mestiere davvero
faticoso, in bilico tra l’arte e la tecnica.
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